CALABRIA SAUDITA: LA MAFIA SPARA DI MENO MA CORROMPE DI PIU’

E’ con queste parole che Nicola Gratteri, in conferenza stampa, ha spiegato l’intreccio fra mala politica, mala imprenditoria, mala burocrazia, liberi professionisti e famiglie mafiose nell’ultima inchiesta “Profilo basso” che ha portato a 15 misure cautelari e a circa 35 avvisi di garanzia. A livello politico i nomi che hanno fatto più rumore sono quelli del segretario nazionale dell’UDC, Lorenzo Cesa, che si è subito dimesso dalla carica e l’assessore regionale al Bilancio, Francesco Talarico, responsabile dell’UDC in Calabria. Siamo al solito schema di affari sporchi e voto di scambio. Il malloppo in questione è quantificato in un vortice di milioni che hanno varcato anche le patrie frontiere. In attesa che la giustizia faccia il suo corso occupiamoci del contesto in cui “Profilo basso” viene a collocarsi nel pieno di una campagna elettorale e di candidature in libera circolazione.

Diciamo subito che un politico arrestato per “concorso esterno” e connesso voto di scambio mafioso è ormai una non notizia, nel senso che finisce nella cronaca quotidiana di chi delinque con l’aggravante però che si tratta di uomini delle istituzioni. Nel giro di un anno sono tre i politici calabresi che hanno subito misure cautelari e cioè Domenico Creazzo, targato Fratelli d’Italia, Domenico Tallini, presidente del consiglio regionale targato Forza Italia, ora, Francesco Talarico, targato UDC, che avrebbe agito insieme al segretario nazionale.

Ai tanti che in questi giorni, a fronte delle candidature circolanti alla presidenza della regione, pongono in evidenza, come priorità da affrontare, la moralizzazione della vita politica e la bonifica della spesa pubblica , va segnalata la circostanza che Lorenzo Cesa è lo stesso personaggio che fu indagato nel 2005 da quel Luigi De Magistris costretto poi a lasciare la magistratura, diventato sindaco di Napoli ed oggi orientato a concretizzare la sua candidatura alla guida del prossimo governo regionale.

Questo per dire, visto il contesto politico-giudiziario, che chi si oppone alla candidatura di Luigi De Magistris dovrebbe offrire nomi alternativi che fino ad oggi non sono venuti fuori. Sono venuti fuori invece personaggi di prima e di seconda fila della partitocrazia calabrese che guardano con panico alla candidatura di De Magistris. Il quale – fino a prova contraria – non va in cerca di rivincite di nessun genere, non ha conti personali da regolare, semmai ha l’obbligo di essere coerente con la battaglia condotta da pubblico ministero per smantellare quel sistema di potere a delinquere che vedeva in combutta politici, imprenditori, professionisti, uomini delle istituzioni e portatori di interessi mafiosi .

De Magistris non inseguiva fantasmi e non costruiva teoremi ma analizzava impietosamente il sistema nei suoi intrecci limacciosi e corruttivi. Questa la sua denuncia a pagina 61 del libro “Assalto al PM-Storia di un magistrato cattivo”: “Nel corso degli anni mi sono reso conto di come la Calabria assomigli al Sudamerica di una volta: una regione governata da una vera e propria “classe”, che non definisco dirigente perché le darei dignità. E’ una classe di potere. Intrisa anche di mafiosità. E’ composta da una parte importante e assolutamente trasversale della politica, che ha a cuore solo interessi di settore. Gruppi di potere, anche su base familistica, che operano per puro interesse e con logiche biecamente clientelari. Comprende una parte consistente dei principali imprenditori, diventati potenti, ricchi, noti e forti grazie al loro rapporto privilegiato con la politica: hanno potuto beneficiare di finanziamenti e di lavori nel settore pubblico, di corsie preferenziali nell’assegnazione di appalti, restituendo poi i favori ai politici col “foraggiamento”, il finanziamento illecito, offrendo lavoro alle persone che questi indicano, facendo anche da “cuscinetto” con la criminalità organizzata di tipo tradizionale”. Quando usciva il libro correva l’anno 2010.

Come confermano le inchieste della DDA coordinate da Nicola Gratteri non è cambiato né il contesto né lo scenario di intrecci corruttivi. E’ con questa realtà che i calabresi si devono misurare e valutare la risposta politica. Il problema non è andarsi a sedere in consiglio regionale al posto di chi ha disonorato se stesso e l’istituzione ma acquisire il consenso e il mandato politico per andare a cambiare le cose, per restituire onore e affidabilità all’istituzione, per impegnare la spesa pubblica al servizio dei bisogni e delle aspettative dei calabresi.

De Magistris ha già detto che non vuole accordi con i partiti tradizionali, ritenuti responsabili della situazione in cui versa la Calabria. Si rivolge direttamente ai calabresi, al di là delle appartenenze, per una politica di reale cambiamento, moralizzazione e liberazione da una classe dirigente che, al di là degli aspetti corruttivi, ha mantenuto, per viltà politica o convenienze di carriera, la Calabria in una condizione di subalternità agli interessi del nord ed ai governi nazionali, di centrodestra e di centrosinistra, che hanno sottratto risorse al sud a vantaggio del nord, senza mai aver incontrato la protesta e l’opposizione dei politici calabresi sia consiglieri regionali che deputati e senatori. Bonificare le istituzioni, dunque, è certo una priorità ma è l’intero Mezzogiorno che deve rivendicare i diritti negati presentando il conto a quel nord, padano e autonomista, che ha saccheggiato impunemente la spesa pubblica rubando impunemente al sud, con la truffa della “spesa storica”, le risorse per investimenti, asili nidi, scuole, ospedali, strade, ferrovie, porti, welfare negando così ogni possibilità di crescita e di sviluppo.

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