REGIONALI: UN PD MORENTE CHIEDE L’ARRETRAMENTO DELLE FORZE VIVE

Forse è eccessivo dire che il morto cerca di afferrare il vivo ma hanno un che di tragico e di disperato gli appelli delle retrovie del PD rivolti alle formazioni politiche già attive in campagna elettorale e lanciate a dare una spallata alla vecchia politica. Si tratta di mettere fine a quella logica consociativa che è sopravvissuta e che si è consolidata, di legislatura in legislatura, sia che avesse vinto il centrodestra, sia che avesse vinto il centrosinistra.

Bisogna essere ciechi o sprovveduti per rivendicare nel centrosinistra una leadership che non esiste più, che è stata bruciata dai tenutari del partito e dalla irrilevanza degli uomini che lo hanno rappresentato nelle istituzioni. Un partito diventato doroteo e democristiano, padronale e corporativo, accomodante e consociativo.

Eppure la deriva veniva segnalata da tempo, prima ancora che il più “democristiano” degli ex-comunisti, Gerardo Mario Oliverio, pervenisse alla guida della Regione. Può darsi che abbia nociuto la commistione contro natura fra ex-democristiani ed ex-comunisti, il famoso amalgama riuscito male, come ebbe modo di rilevare Massimo D’Alema, con l’annotazione aggiuntiva che mentre gli ex-democristiani sono rimasti tali gli ex-comunisti con la loro evoluzione hanno perso strada facendo identità e memoria. Intestarsi oggi politicamente una identità di sinistra in una coalizione di centrosinistra è un abuso che non può essere consentito, salvo che si voglia intendere che oggi il PD rappresenta pienamente la sinistra “padronale” che con Bonaccini alla presidenza della Conferenza Stato-Regioni interpreta alla grande le rivendicazioni imprenditoriali e quelle autonomiste, in combutta con Zaia e Fontana, ovvero la triade delle regioni produttive considerate la “locomotiva d’Italia”.

Ma restiamo in Calabria dove si voterà, salvo rinvii, l’11 aprile e dove il PD si porta dietro il peso dei suoi errori, della sua protervia e dei compromessi cui si è dato senza vergogna. Governava Mario Oliverio, con la sua corte e i suoi gerarchi, quando il compianto Paolo Pollichieni, giornalista dalla prosa ruvida e con l’inclinazione motivata a guardare nei panni sporchi della politica, scriveva del PD in questi termini.

“Sono il partito dei fondi comunitari, del trasversalismo affaristico, degli ipermercati a 5 stelle, dei pellegrinaggi ginevrini alla corte di Aponte, della burocrazia mercenaria, delle consulenze addomesticate, del familismo amorale, delle concubine “usa e getta”, delle dame senza cavalieri e dei cavalieri con tante dame”.

Pur volendo concedere che Paolo Pollichieni nel marzo 2019 abbia voluto forzare la polemica contro il PD, i fatti e i comportamenti cui fa riferimento non hanno registrato alcuna reazione o contestazione, dai vertici del partito, dai vertici del governo regionale, dalle seconde e terze file che oggi chiedono l’azzeramento delle “autocandidature” (leggasi De Magistris), agitando lo spauracchio della conseguente vittoria del centrodestra. E per dar luogo a un superamento delle autocandidature (leggasi sempre De Magistris) hanno messo in campo la candidatura “domestica” di Nicola Irto, noto soltanto agli addetti ai lavori, figura pallida e, benché giovane, sbiadita perché proviene anche lui dalla “vecchia ditta”. Ritirare la sua candidatura sarebbe di per sé una scelta di realismo e di consapevolezza ma il PD, nella sua autosuggestiva genialità, la offre ad una possibile trattativa finalizzata a fare fuori la candidatura di De Magistris.

Vecchi giochi della vecchia politica per altro affidati a un commissario che, per incapacità e inadeguatezza al ruolo, ai “tavoli” di centrosinistra ha visto mettere in discussione la stessa leadership del PD che, con l’1,8 di Liberi e Uguali nei sondaggi, non fa nemmeno il 20 per cento. Pur essendo tutta da dimostrare la vittoria del centrodestra data per scontata, è certamente velleitario pensare di poterlo battere con la perdita di credibilità e affidabilità politica che il PD si porta dietro.

E’ semmai vero che l’unica possibilità di battere il centrodestra  sta nell’intuizione di De Magistris, Tanzi e Anna Falcone di chiedere il voto ai calabresi, a tutti i calabresi, un voto contro la vecchia politica dei partiti tradizionali, sia a destra che a sinistra, per il loro fallimento, per aver tenuto la Calabria nel sottosviluppo e nell’arretratezza, complici dei governi nazionali che hanno sottratto risorse destinate al sud per  investirle al nord a sostegno dei profitti d’impresa e di servizi di qualità(ospedali, scuole, strade, porti, ferrovie, alta velocità) lasciando il sud alla sua irrilevanza produttiva , ai suoi servizi scadenti e ad una aspettativa di investimenti e di lavoro, soprattutto giovanile, compensata con l’umiliazione del reddito di cittadinanza .

La spallata che bisogna dare l’11 aprile in Calabria, salvo rinvii, al sistema consociativo che ha fino ad oggi governato la Regione, in una logica di subalternità alle segreterie romane, passa proprio da uno scontro in campo aperto con i vecchi partiti, PD compreso, che portano la responsabilità di quanto – e non è poco – fino ad oggi è stato sottratto e negato al sud, appagati di gestire la spesa pubblica dell’assistenzialismo e dello sviluppo negato.  Next Generation Eu è ora la scommessa da vincere. E’ un treno partito da Bruxelles verso il Mediterraneo e non bisogna perderlo.

 

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