Brigante se more – Pure a calabbria mo s’ è arravutat’

Attraverso questo post, vogliamo mantenere alto quel senso di appartenenza delle genti meridionali che recentemente ha ripreso vita grazie a Pino Aprile, ad alcune pagine aperte sui social e a qualche studioso che ha visto coronare il sogno di una vita il cui racconto è rimasto per molto tempo  inascoltato.

L’Italia è e deve rimanere unita, e questo non si discute, ma una maggiore consapevolezza delle nostre radici culturali e delle ragioni che ci hanno portato a vivere i disagi del presente, ci aiuterà a liberarci di quell’insopportabile senso di colpa per la nostra identità.

Questa canzone (Brigante se more), scritta da Bennato e D’Angiò nel 1979, stimola benissimo questo senso di appartenenza, probabilmente perché risveglia qualcosa di ancestrale che sembrava essersi perso a causa della dura repressione, anche culturale, dei piemontesi.

Crediamo che il modo migliore di spiegare questo stato d’animo sia di affidarci alle parole dell’autore ed al suono della sua musica.

« Allora “Brigante se more” è un brano di cui vado molto orgoglioso, soprattutto perché tutti sono convinti che sia un brano della tradizione napoletana e invece l’ho scritto negli anni settanta con Carlo D’Angiò. Evidentemente abbiamo assorbito la lezione della musica popolare a tal punto da farlo sembrare un canto vero. Un brano che ha portato alla luce un argomento tabù della nostra storia, perso nella memoria poiché sui briganti non si sa nulla, si sono perse tutte le tracce di ciò che cantavano sulle montagne quando si nascondevano poiché, di ogni singolo caso, sono state cancellate le documentazioni. È tutto molto frammentario è per questo che “Briganti se more” è un’opera di poesia, è un’invenzione fatta con grande dedizione al rispetto della cultura. Sembra un canto autentico, e tutte le volte che la gente crede che sia tale lo prendo come un grande complimento perché significa che ho centrato il segreto del linguaggio. Questo brano inoltre appartiene al presente, è conosciuto da tutti e viene cantato. »
(Eugenio Bennato, intervista ad Il Sannio Quotidiano, 24-09-2002)

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